Riabilitazione - Amici del cuore

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Anche se è difficile identificare il Padre della Riabilitazione Cardiologica, sappiamo che Asclepiade sicuramente già nel 174 a.C. prescriveva esercizi per le malattie della circolazione. Più recentemente William Stoker nel 1854 a Dublino sosteneva la validità del movimento precoce, dell’esercizio fisico e della deambulazione nei pazienti cardiopatici e Max Oertel a Monaco di Baviera nello stesso periodo prescriveva a se stesso, vittima del “Cuore Adiposo”, e ai suoi pazienti limitazioni di liquidi, camminate e passeggiate. In quegli anni, comunque, il pensiero che più influenzò il mondo medico fu quello di John Hilton tramite il suo “Riposo e Dolore” (1878), in cui affermava la validità del riposo prolungato a letto per la maggior parte delle patologie

Solo diversi anni dopo Osler, nel suo libro “Principi e Pratica della Medicina” (1914) riaffermava che “l’elemento più importante ai fini riabilitativi è l’esercizio fisico graduato non in piano ma in salita con diversi gradi di pendenza. La distanza percorsa ogni giorno viene registrata e gradualmente incrementata. In tal modo il cuore viene esercitato e rinforzato in maniera sistematica”. Il riposo prolungato a letto continuò purtroppo ad essere comunque ritenuta la migliore terapia per il cardiopatico ancora per diverso tempo e solo negli anni ‘40 Harrison (1944) richiamò l’attenzione sull’abuso di tale procedura e Master e Dock (1940) introdussero il concetto di riabilitazione dopo occlusione coronarica. Finalmente Levine e Lown (1951) introdussero l’ormai famoso uso precoce della “poltrona” dopo infarto miocardico avendo constatato come l’allettamento prolungato si associasse più frequentemente a grave indebolimento muscolare, rimodellamento della matrice ossea, riduzione della performance cardiocircolatoria, aumentata frequenza di fenomeni tromboembolici. Dopo pochi anni White (1957) pubblicò il testo “Riabilitazione del cardiopatico”, mentre Cain (1961) descriveva i primi programmi di attività fisica controllata dopo infarto miocardico.

Lo sviluppo storico della Cardiologia Riabilitativa ad approccio omnicomprensivo multifattoriale, non limitata al solo training fisico, si deve alle iniziative del Council della Federazione Internazionale di Cardiologia e dell’Ufficio Europeo della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che negli anni ’70 organizzarono numerosi meeting nel corso dei quali vennero delineate le raccomandazioni per la valutazione e riabilitazione dei pazienti infartuati. A quell’epoca risalgono in Italia i primi approcci riabilitativi nei soggetti infartuati da parte del gruppo di Vincenzo Rulli a Roma. Sorti successivamente i primi centri sia degenziali che ambulatoriali, nel 1978 venne fondato il Gruppo Italiano di Valutazione Funzionale e Riabilitazione del Cardiopatico (GIVFRC) la cui denominazione attuale è Gruppo Italiano di Cardiologia Riabilitativa e Preventiva (GICR). Recentemente (1999) una commissione mista ANMCO (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri) – SIC (Società Italiana di Cardiologia) – GIVFRC ha precisato linee guida, standard operativi con verifica e revisione della qualità (VRQ) per la Riabilitazione Cardiologica, anche alla luce dei modelli organizzativi del Working Group della Società Europea di Cardiologia (ESC) e delle direttive del Ministero della Sanità.

Le malattie cardiovascolari sono sicuramente la causa principale di morte in tutto il mondo; recenti dati epidemiologici sottolineano un’emergente “epidemia” di patologie cardiovascolari nei paesi sviluppati, legata a sfavorevoli variazioni nello stile di vita delle persone, tali da favorire la malattia aterosclerotica coronarica (come pure d’altro canto le neoplasie). Il peso sociale ed assistenziale delle malattie cardiovascolari è notevolmente cresciuto, tanto che i recenti Piani Sanitari Nazionali hanno dato particolare enfasi a misure di prevenzione e riabilitazione sollecitando organi locali a sviluppare programmi di intervento nel tentativo di limitare un apparentemente inevitabile incremento di morbilità e mortalità cardiovascolare. Il concetto di riabilitazione cardiovascolare ha vissuto negli anni una rapida trasformazione in relazione a nuove situazioni cliniche quali l’aumento di cardiopatie croniche legato alla riduzione di mortalità in fase acuta e postacuta, nè va dimenticata la riduzione dei tempi di degenza ospedalieri.


Il decorso delle malattie cardiovascolari è in genere di lunga durata con fasi di instabilità non sempre prevedibili per cui è assolutamente importante ridurre o abolire tutti i fattori di rischio responsabili della progressione della malattia, specie in pazienti a maggior rischio che necessitano di un maggior impiego di risorse. A questo riguardo, sono ormai noti gli effetti favorevoli della riabilitazione cardiologica e della prevenzione (interventi a costi contenuti e ad elevata resa); essi principalmente comprendono:

- Riduzione della mortalità, soprattutto di morte improvvisa, nel primo anno dopo infarto miocardico.

- Miglioramento della tolleranza allo sforzo, dei sintomi di angina e di scompenso.

- Miglioramento del profilo di rischio cardiovascolare.

- Migliore qualità di vita.

- Più frequente ritorno al lavoro.

- Maggiore autonomia funzionale con riduzione della dipendenza e della disabilità.



Possiamo definire la riabilitazione dei pazienti con malattia cardiovascolare come la

“Somma di interventi richiesti per garantire le migliori condizioni fisiche, psicologiche e sociali in modo che i pazienti con cardiopatia cronica o post-acuta possano conservare o riprendere il proprio ruolo nella società”.

La riabilitazione cardiovascolare, combinando la prescrizione dell’attività fisica con la modificazione del profilo di rischio dei pazienti mediante programmi educazionali indirizzati al cambiamento dello stile di vita (abolizione del fumo, dieta appropriata, controllo del peso corporeo, dello stato d’ansia e della depressione) ha come fine ultimo il mantenimento della stabilità clinica in modo da ridurre l’incidenza di successive recidive e le disabilità conseguenti. Molteplici sono le figure professionali coinvolte nella realizzazione dei programmi: cardiologo, infermieri professionali, fisioterapisti, dietista, psicologo ed altre pertinenti spesso in qualità di consulenti. E’ sicuramente utile la collaborazione dei medici di famiglia per realizzare compiutamente le strategie di prevenzione secondaria.
Le indicazioni alla riabilitazione cardiovascolare prevedono numerose tipologie di pazienti, alcune un tempo, a torto addirittura escluse:

1) Pazienti con cardiopatia ischemica

- post-infarto miocardico

- post by-pass aorto-coronarico

- post angioplastica coronarica

- cardiopatia ischemica stabile

2) Pazienti sottoposti a chirurgia valvolare cardiaca

3) Pazienti con scompenso cardiaco cronico

4) Pazienti con trapianto di cuore o cuore-polmone

5) Pazienti operati per cardiopatie congenite

6) Pazienti con arteriopatia obliterante cronica periferica

7) Pazienti portatori di pacemaker o di defibrillatori.

Non esistono controindicazioni all’intervento riabilitativo nella sua globalità. Le limitazioni devono essere
riferite al solo training fisico e non alle altre componenti del programma e contemplano essenzialmente situazioni di instabilità clinica del paziente o labilità di compenso, comunque proprie della fase acuta di malattia.

Storicamente la riabilitazione cardiologica ha sempre conosciuto tre fasi temporali d’intervento:

- 1° fase (fase acuta di malattia): mobilizzazione precoce e impostazione del programma educazionale.

- 2° fase (post-acuta): programma intensivo della durata di alcune settimane.

- 3° fase (mantenimento): interventi a lungo termine per tutta la vita.

Attualmente si distingue più appropriatamente in base alle condizioni di rischio del paziente e alla complessità, intensità e durata dell’intervento in:

Riabilitazione intensiva: interventi rivolti a pazienti a rischio medio-alto in fase acuta e post-acuta della malattia e alla periodica rivalutazione a lungo termine di pazienti ancora ad alto rischio. E’ prevalentemente riabilitazione in regime degenziale.

Riabilitazione intermedia: interventi indirizzati a pazienti a rischio medio-basso nella fase post-acuta e alla rivalutazione periodica a lungo termine in pazienti a medio e alto rischio. Viene svolta sia in strutture residenziali sia in strutture ambulatoriali.

Le fasi intensiva ed intermedia corrispondono alla 1° e 2° fase tradizionali.

Riabilitazione estensiva: mantenimento a lungo termine in pazienti a basso rischio. Corrisponde alla 3° fase. Può essere del tutto autogestita dal paziente come pure organizzata da associazioni di volontariato (club coronarici), coordinate dal cardiologo riabilitatore, con verifiche periodiche presso la struttura riabilitativa ospedaliera di riferimento. In questa fase è importante che il paziente, conscio della propria stabilità clinica ottenuta tramite l’ottimizzazione della terapia ed un adeguato stile di vita mirato alla riduzione dei fattori di rischio, abbia consapevolezza di poter realmente autogestire il proprio programma riabilitativo senza la necessità di un costante supporto sanitario ravvicinato.


Se leggiamo la definizione di Riabilitazione Cardiologia troviamo scritto: “Somma degli interventi richiesti per garantire le migliori condizioni fisiche, psicologiche e sociali in modo che i pazienti con cardiopatia cronica o postacuta possano conservare o riprendere il proprio ruolo nella società”.

La Cardiologia Riabilitativa ha quindi sempre albergato in sé due componenti fondamentali che ne caratterizzano l’attività di recupero del cardiopatico: una dedicata alla ripresa della capacità funzionale, incentrata sul training fisico; un’altra, di tipo educazionale, destinata alla modifica di fattori di rischio e di errati stili di vita, vero intervento di prevenzione secondaria; si tratta di interventi di lunga durata.

Quello che dall’esterno, dai “non addetti ai lavori”, si è voluto spesso unicamente vedere era la sola attività di palestra, che è ancora da qualche osservatore superficiale addirittura considerata l’unico intervento effettuato.

All’interno delle struttura di Cardiologia Riabilitativa, invece, da tempo si è progressivamente dedicato sempre più spazio alla componente educazionale, preventiva; all’attività di palestra, si sono affiancati interventi di educazione sanitaria, educazione alimentare, gestione dello stress, rilassamento

muscolare, con l’intervento del Cardiologo, dell’ Infermiere Professionale, del Dietista, dello Psicologo. In questo modo la combinazione di riabilitazione e prevenzione secondaria dovrebbe diventare lo standard di cura nei pazienti con malattia coronaria, come di recente caldeggiato da illustri Cardiologi a livello internazionale.

Ma perché? La risposta sta nella presenza del training fisico, la componente che maggiormente caratterizza e differenzia la Cardiologia Riabilitativa rispetto a qualsiasi altro tipo di intervento “solo educazionale” quando si vogliano proporre modelli ed azioni di prevenzione secondaria.

La Cardiologia Riabilitativa diviene pertanto sicuramente il “Valore Aggiunto” in prevenzione secondaria appunto per la possibilità di offrire una importante componente che altri non possono dare: il training fisico. Sono noti gli effetti favorevoli dell’attività fisica sui più importanti fattori di rischio cardiovascolare quali diabete mellito, dislipidemia e sul versante emostatico-coagulativo, che vanno ben oltre il semplice miglioramento della capacità funzionale (resistenza allo sforzo); è pure documentata la riduzione di mortalità e morbilità.

L’efficacia dell’intervento combinato di training fisico ed intervento educazionale sulla riduzione della progressione della malattia coronarica è stata dimostrata in infartuati, in operati di by-pass aorto-coronarico, in soggetti sottoposti a PTCA ed anche in semplici anginosi, ribadendosi come l’effetto benefico sia largamente legato ad attività fisica regolare mantenuta nel tempo; la riduzione della mortalità totale è pari al 27 % mentre quella cardiovascolare raggiunge il 31 %.

Il training fisico è quindi il perno, il mozzo della ruota e tutti gli interventi aggiuntivi sono i raggi, non perché secondari o meno rilevanti, ma solo unicamente perché in grado di ruotare attorno all’attività fisica, venendone ottimizzati; l’attività fisica, oltre ai risultati clinici e prognostici favorevoli diretti, migliorando il benessere soggettivo del paziente lo può rendere più disponibile ed interessato a recepire e digerire il programma educazionale nelle sue varie componenti preventive.

Va ancora ricordata l’importanza della frequentazione continua presso la struttura riabilitativa, vera continuità assistenziale che consente l’ottimizzazione della terapia dopo la dimissione dalla fase acuta, per così dire “in corso d’opera”, ne soppesa gli effetti sia a riposo che durante l’allenamento, con particolare riguardo alla stabilità clinica del paziente (compenso, angina), al comportamento dei valori pressori, ai valori della glicemia e all’assetto lipidico.

La particolare organizzazione di lavoro delle strutture di Cardiologia Riabilitativa propone quindi tale modello come il più qualificato per impostare efficaci programmi di prevenzione secondaria.

Possiamo pertanto sicuramente affermare che la Cardiologia Riabilitativa è il Vero Valore Aggiunto in Prevenzione secondaria.



 
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